Manuela Miraglia

22 Marzo 2022

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SAMANTHA È MORTA CON UN PROTOCOLLO DI CURE PALLIATIVE

SAMANTHA È MORTA CON UN PROTOCOLLO DI CURE PALLIATIVE

Samantha D’Incà, 30enne bellunese da 14 mesi in stato vegetativo irreversibile, è morta sabato mattina. Data la sua tragica storia e la battaglia legale del padre per appellarsi alla legge 219/2017, la famigerata legge sulle disposizioni anticipate di trattamento (DAT), il caso può facilmente prestarsi ad una ingannevole interpretazione.

 

“Si è spenta senza soffrire, come una candela” dice la mamma, chiarendo le circostante della sua morte, che riepiloghiamo brevemente.

 

Venerdì 11 marzo un «crollo molto forte» delle sue condizioni, il lunedì seguente l’inizio della procedura di sospensione della Peg, l’alimentazione con il sondino ormai inutile dato che il suo fisico non assorbiva più i nutrienti, tra mercoledì e giovedì l’ulteriore aggravamento delle condizioni della ragazza, sottoposta infine a sedazione profonda.

 

Un esempio chiaro, dopo mesi in cui invece la situazione era completamente diversa, di accanimento terapeutico.

 

Ed ecco di nuovo la mamma che spiega: “Medici e infermieri delle cure palliative venivano anche tre volte al giorno a vederla, sono stati molto bravi, nell’ultimo periodo soffriva e per questo le è stata fatta la sedazione profonda”.

 

Come Steadfast, da sempre in prima linea per la tutela della vita, anche della più sofferente, troviamo inqualificabili le aperture di telegiornali e quotidiani che parlano di “procedura o cura di fine vita” praticata a Samantha, per instillare nelle persone l’abitudine all’eutanasia come una procedura accettabile ed eticamente valida. La procedura di sedazione profonda è prevista dai protocollo di cure palliative e viene effettuata in rispetto totale della dignità del paziente al quale vengono evitate sofferenze molto gravi in imminenza di morte. Non è assolutamente quello che chiede chi propone l’eutanasia come rimedio per accorciare la vita di chi, pur nella sofferenza, può avere ancora speranza e affetti da godere.
La legge sulle DAT ha inserito idratazione e nutrizione tra i trattamenti che un paziente può rifiutare ed ecco perché i promotori della “morte a comando” sfruttano la storia di Samantha per fare proselitismo.
Samantha invece, inconsapevolmente, è proprio la testimonial di quello che diciamo da sempre.
La vita, quando deve finire finisce, nessuno deve allungarla, così come nessuno deve accorciarla.

 

Nutrizione e idratazione sono sostegni indispensabili alla vita, non terapie mediche, indispensabili alla persona sana quanto all’ammalato, indipendentemente dal mezzo con cui vengono somministrati.
La loro interruzione conduce alla morte tra atroci sofferenze, ecco perché si propone un’unica puntura letale che è sempre e solo configurabile come eutanasia (passiva o attiva).
Solo nei casi in cui il corpo non trae più giovamento, e si entra nel regime di accanimento terapeutico, si fa ricorso alla sedazione profonda, ossia alla somministrazione anticipata di antidolorifici in dosi progressive fino a che il corpo si spegne da solo.

 

Per chi non conoscesse la sua storia la riportiamo.
A novembre 2020 Samantha fu operata per una frattura alla gamba a seguito di un incidente domestico. A pochi giorni dal suo ritorno a casa la gamba iniziò a gonfiarsi, peggiorando velocemente. Venne nuovamente ricoverata per una polmonite che provocò il collasso dei polmoni, lasciando il cervello per troppo tempo senza ossigeno provocando gravi danni. Fu quindi trasferita all’ospedale di Treviso, ma da quel momento non riprenderà più conoscenza fino al trasferimento a Feltre, in un reparto a lunga degenza dove veniva nutrita e idratata artificialmente. Da qualche settimana era ricoverata nella struttura socio assistenziale “Gaggia Lante” di Belluno.

La famiglia si appellò affinché le venissero staccati i sostegni vitali, dicendo che così avrebbe voluto Samantha.
In tempi non sospetti la ragazza avrebbe detto che se le fosse successo qualcosa non avrebbe voluto venisse praticato su di lei accanimento terapeutico, senza mai formalizzarlo secondo la normativa vigente. I genitori si appellarono quindi alla legge 219/2017, cosiddetta Dichiarazioni Anticipate di Trattamento, per far valere questa richiesta. Il Comitato Bioetico dell’ospedale di Feltre si espresse in maniera contraria alla richiesta della famiglia ritenendo che non ci fossero le condizioni per interrompere nutrizione e idratazione dato che Samanta non era in imminenza di morte. Il papà, Giorgio D’Incà, iniziò una lunga battaglia legale fino ad ottenere dal Tribunale di Belluno, il 10 novembre 2021, l’incarico di amministratore di sostegno. Dopo il critico peggioramento di venerdì scorso, a seguito del quale le condizioni di Samantha sono mutate e la peg non era più necessaria ma, anzi era davvero accanimento, è lui che ha dato l’autorizzazione alla procedura di distacco, normale prassi clinica in situazioni di estremo peggioramento del paziente tale per cui la morte è imminente.

 

A Dio Samantha, riposa in pace.