“DUE MAMME” A PROCESSO IN SECONDO GRADO

Denise, statunitense, e Giulia, italiana, decidono di “sposarsi” negli Stati Uniti e di “avere” un bambino. Attraverso la fecondazione eterologa avvenuta negli Stati Uniti, il bambino nasce in Italia il 20 gennaio 2016. Le due donne si recano presso il Comune di Pisa con l’intenzione di trascrivere entrambi i loro nomi sul certificato di nascita in qualità di “mamme”, ma vedendosi negata questa possibilità decidono di rivolgersi al Tribunale di Pisa. Quest’ultimo, non trovando strumenti per risolvere il contenzioso, chiede un parere alla Corte Costituzionale che nel 2019 dichiara inammissibile la questione di legittimità. Facendo riferimento a questo pronunciamento, lo scorso 6 maggio il Tribunale di Pisa non accoglie il ricorso delle due donne concordando, però, con la Consulta sulla presenza di un vuoto normativo colmabile solo dal legislatore.

I giudici pisani scrivono: “Quanto alla pretesa discriminazione che si creerebbe tra la situazione di chi nasce all’estero e qui vede formato l’atto di nascita con conseguente trascrizione in Italia e quella di chi nasce in Italia e tale atto di nascita non può conseguire, trattasi di discriminazione solo apparente. Infatti, ben diverso è per lo Stato riconoscere una situazione che di fatto già esiste nel mondo naturalistico e ha trovato assetto formale in un altro ordinamento (limitandosi ad accettarne le conseguenze) e dare disciplina e possibilità di creazione della stessa situazione nell’ordinamento interno.”

Vorremmo ricordare ai giudici che un’azione illegittima secondo l’ordinamento italiano non cambia la propria natura se viene compiuta all’estero. Ciò che è sbagliato rimane sbagliato. Regolamentare atti illeciti non li fa diventare leciti.

Le due donne non si ritengono soddisfatte della sentenza del Tribunale. Con l’avvocato Alexander Schuster, loro difensore, presenteranno un ricorso che le porterà il prossimo novembre a processo di secondo grado in corte d’Appello a Firenze. In una sua dichiarazione, l’avvocato Schuster ha voluto sottolineare che: “Le famiglie gay e lesbiche che vengono a vivere qui in Italia devono essere al corrente dell’arretratezza in cui versa il Paese, a mio parere, e della carenza di riconoscimento giuridico a cui si espongono”.

A lui vorremmo ricordare che, è vero che chiunque ha il diritto di decidere dove vivere, ma è altrettanto vero che è dovere di chi viene ospitato rispettare la legislazione del Paese ospitante. Ciò è possibile se c’è la volontà di conoscerne la cultura e applicarne le normative derivanti. Secondo il nostro parere questo sta alla base del rispetto di tutti, senza differenze di razza, etnia, religione e sesso.