Al Family Day anche gli africani, perché “la famiglia è un valore comune”

Un rappresentante di una comunità nigeriana in Italia racconta le preoccupazioni del suo popolo legate al mercato dell’utero in affitto e i preparativi all’evento di sabato.

Fervono i preparativi per la manifestazione di sabato prossimo al Circo Massimo di Roma. È un intero popolo quello che si sta mobilitando per dare una pubblica testimonianza di dissenso nei confronti del ddl Cirinnà sulle unioni civili e in favore del diritto dei bambini a crescere con una mamma e un papà.

Un popolo trasversale, che abbraccia diverse idee politiche, varie confessioni religiose nonché differenti origini etniche. Già, perché gli scenari che potrebbe innescare una legge sulle unioni civili preoccupano non solo gli italiani autoctoni, ma anche i cittadini provenienti da Paesi esteri.

Specialmente coloro che provengono da quelle regioni del mondo in cui è diffusa la pratica dell’utero in affitto. Giovani donne dei Paesi in via di sviluppo scelgono o, peggio, talvolta vengono costrette, a portare avanti una gravidanza per conto di terzi.

È un mercato, quello della maternità surrogata, in forte espansione in Nigeria. Lo testimonia Charles Okey Chuckwubike, storico rappresentante di una delle tante comunità nigeriane presenti in Italia, un professionista che per ragioni di lavoro si trova oggi a far la spola tra la Nigeria, l’Italia e la Gran Bretagna.

Lo sentiamo telefonicamente proprio mentre è in aeroporto, in procinto di imbarcarsi per uno dei suoi consueti viaggi. “Ritengo il ddl Cirinnà una proposta inconcepibile – spiega a ZENIT -. La considero inaccettabile da africano, originario di una terra in cui si dà ancora molto peso al valore della famiglia, e credo che offendere la famiglia con una simile legge comporterebbe dei problemi di carattere sociale”.

È ormai da tanti anni che Chuckwubike si allontana dalla Nigeria. Racconta che ha studiato in Europa e che diverse abitudini occidentali gli sono diventate proprie. Tuttavia, precisa, “non riesco ad abituarmi a certe idee sulla famiglia, o meglio contro la famiglia, che vanno diffondendosi in Occidente”.

Il suo riferimento è alle adozioni concesse a coppie omosessuali e al lento sdoganamento culturale della pratica dell’utero in affitto. Pratica che – afferma con un tono di voce che tradisce preoccupazione – “mi fa tornare alla mente dei periodi storici bui, durante i quali l’uomo ha creduto di poter generare vita nei laboratori, con idee eugenetiche”.

Chuckwubike non esita a chiamare in causa il “diritto naturale”, termine che sembra ormai sparito dai vocabolari del politicamente corretto occidentale. “Ottenere bambini con questi metodi è qualcosa che va contro la natura, quindi credo che siano evidenti a tutti i motivi per cui è necessario fare un’opposizione”.

Il rappresentante della comunità nigeriana conferma ciò su cui ZENIT ha già indagato grazie alla testimonianza di Emmanuele Di Leo, presidente di Steadfast Onlus, impegnata in prima linea a combattere lo sfruttamento di donne e bambini, ossia il vero e proprio mercato procreativo, spesso illegale, che si sta diffondendo in Africa.

Egli racconta che “molte ragazze vengono ingannate da gruppi criminali”, che riescono a irretirle promettendole un lavoro e un futuro più roseo magari all’estero. In realtà, queste giovani finiscono per alimentare la rete di sfruttamento già tanto estesa in Nigeria. “Alimentano non solo il mercato della prostituzione – afferma Chuckwubike – ma anche quello dell’utero in affitto: vengono sfruttate per portare avanti una gravidanza e poi gettate via come fossero lattine di aranciata vuote…”.

Sono tanti gli orfanotrofi o le cliniche nigeriane che si stanno trasformando in “fabbriche di bambini”. Egli spiega che queste strutture, diffuse soprattutto nel Sud-Est del Paese, sono ricettacoli di sfruttamento di donne per mettere al mondo bambini che poi vengono “messi sul mercato”.

Della questione hanno iniziato a occuparsi anche le autorità nigeriane, che “hanno chiuso un po’ di strutture e hanno arrestato alcuni responsabili”. Chi usufruisce di questa nuova frontiera di “mercato umano” proviene spesso dall’Europa, ma anche dalla Nigeria stessa, dove – confida Chuckwubike – “la mancanza di figli dopo un matrimonio è considerata una vergogna a livello sociale”.

È per questo che i nigeriani guardano con timore alla possibilità che una legge sulle unioni civili, in Italia, possa implementare questo business internazionale dell’utero in affitto. Ed è per questo che sabato prossimo saranno al Circo Massimo, chiamati a raccolta da Emmanuele Di Leo. “La voce si sta diffondendo tra gli africani in tutta Italia, per essere presenti ed esprimere il nostro dissenso – dice -: i politici forse non sanno cosa accade già nei nostri Paesi, è importante che siano consapevoli che l’utero in affitto è uno sfruttamento nei confronti delle donne povere”.

Le comunità provenienti dal continente nero saranno dunque copiose, mosse dalla paura che “alcune nostre parenti, giù in Africa, possano diventare un domani bersaglio di questo sfruttamento del loro corpo ad opera di organizzazioni criminali”.

Il Family Day, per Chuckwubike, costituisce il simbolo di una verità che, trascendendo culture e latitudini, tiene uniti i popoli del mondo. “Possiamo essere diversi per tanti motivi, ma noi africani e voi italiani abbiamo un aspetto fondamentale che ci accomuna: crediamo che la famiglia sia la cellula primaria della società”. E che per difenderla, appunto, valga la pena scendere in piazza.

da: Zenit