A TRIESTE VA IN SCENA LA MORTE. IN SPREGIO ALLA CORTE COSTITUZIONALE SI AGISCE ATTIVAMENTE PER TERMINARE UNA VITA

Arriva la terribile notizia che il SSN ha aiutato una donna a suicidarsi.
“Anna”, su insistenza del tribunale cui si era rivolta per la mancata risposta alla sua richiesta, ha ottenuto dalla sua ASL farmaco letale, medico di supporto e attrezzatura per uccidersi.

“Anna”, affetta da una malattia neurologica lentamente progressiva dal 2010, era vigile e lucida sebbene ormai completamente dipendente dall’assistenza e ha visto riconoscere, da parte dei medici incaricati di effettuare le verifiche sulle condizioni, che l’assistenza continua alla persona è assistenza vitale.

Così in spregio a quanto previsto dalla Corte costituzionale, viene decisamente allargato lo scenario dei potenziali fruitori del suicidio assistito, includendo anche chi soffre di quelle tipologie di malattie la cui sopravvivenza del paziente non dipende da sostegni vitali invasivi e aprendo quindi al suicidio assistito anche a chi soffre di forme depressive che portano a voler spegnere i riflettori della vita. La Consulta, tra l’altro, aveva stabilito che l’intervento delle Regioni doveva limitarsi alla sola verifica dei requisiti previsti e al totale rispetto della dignità del paziente nell’attuazione della procedura, mentre in questo caso il ruolo è stato ben diverso: un’azione attiva atta a voler terminare una vita.

Questo ulteriore passo verso la normalizzazione della morte volontaria procurata dallo Stato apre scenari sempre più inquietanti.

Anche qui iniziamo a vedere il “piano inclinato” che sta portando molti Paesi ad approvare leggi sempre più “avanzate” sul suicidio assistito e/o eutanasia.

Se l’assistenza domiciliare è considerata “assistenza vitale” come un ventilatore o una nutrizione enterale cosa impedirà di considerare un requisito sufficiente per richiedere il suicidio di Stato la dipendenza da insulina per un diabetico o di qualunque altra terapia medica per patologie croniche?